domenica 12 febbraio 2012

la Grecia e' in fiamme e il Fiscal Compact.

INTERVENTO DI Fotis Kouvelis, LEADER DELLA SINISTRA DEMOCRATICA
POCO FA IN PARLAMENTO DOVE E' IN CORSO UNA SEDUTA FIUME:
"... E NOI PERCHE' DOVREMMO ACCETTARE GLI ORDINI DI UNA
EUROPA CHE E' DIVENTATA SOLO UNA PADRONA FASCISTA?
L'EUROPA E' AGLI ORDINI DELLA MERKEL, ESEGUE TUTTO QUELLO
CHE IL CANCELLIERE TEDESCO CHIEDE.
QUESTA NON E' L'EUROPA, E' UNA SERVA DEL CAPITALISMO CHE
STA MORENDO. GERMANIA, FRANCIA E ITALIA SI SONO ACCORDATE
PER DIRIGERE COSA? LA FINE DEI PIU' DEBOLI?
LA NOSTRA FINE?
MI MERAVIGLIO MOLTO DELL'ITALIA, NON E' COSI' CHE MI
ASPETTAVO CHE REAGISSE UN PAESE AMICO, EPPURE ANCHE
LORO SI SONO ALLINEATI CON I FASCISTI.
CHE POSA POSSIAMO DIRE DI PIU' SE NON CERCARE DI FARVI
CAPIRE CHE NON SMETTEREMO DI PROTESTARE PERCHE' SIAMO
DISPERATI, TUTTI.
CHE SAREBBE MEGLIO USCIRE DALL'EUROPA, FARE IN MODO CHE
ALLA MERKEL VENGA PAURA, PERCHE' SI STANNO CIBANDO DEL
NOSTRO SANGUE PER COPRIRE I LORO BUCHI DI BILANCIO...
MI VERGOGNO DI ESSERE EUROPEO A QUESTO PREZZO..."
- la traduzione è mia, non sono riuscito a captare di più... -





Mentre la Grecia e' in
fiamme, e' venuto il momento di protestare contro quel
mostro pseudo-sovietico in versione europea che va
sotto il nome di Fiscal Compact. Peggio non si poteva
fare, tra i due estremi dell'integrazione politico-
fiscale Ue e il commissariamento dei paesi con "tare
di bilancio".
Il tutto agevolato da solerti euro-spie piazzate ovunque
nelle nostre vite, il cui solo effetto e' d'ingabbiare
e soffocare gli "animal spirits" che muovono l'economia.
Ecco perche' titoliamo "Europa, ovvero i maniaco-
depressivi del controllo".

Attenzione pero' che se l'Europa va avanti cosi', in modo
non democratico e burocratico, finisce che ci ribelliamo
tutti e passiamo al Final Impact. Ed e' il motivo per cui
Wall Street Italia ritiene di poter qui porre qualche
legittima domanda al premier Mario Monti. (luca ciarrocca).

Quello che sta capitando nell’Unione Europea è il principio
di un regime del controllo che ha di fatto esautorato i
poteri politici delle nazioni aderenti, imponendo l’arbitrato
della Commissione Europea e della Corte di Giustizia Europea,
pronta a calare la scure sanzionando i "cattivi".
Si chiama Fiscal Compact ed è il nuovo trattato sottoscritto
dagli stati membri alla fine di gennaio, che sancisce norme
ferree sulla stabilità di bilancio ed entrerà in vigore a
gennaio 2013.

La stabilità dei bilanci dei paesi comunitari dev’essere
garantita dal rapporto deficit/Pil al 60%. La misura dello
sforo del deficit prossimo futuro è stabilita nello 0,50%
in rapporto al PIL, mentre le nazioni meno virtuose dovranno
rientrare del disavanzo oltre il 60% (stabilito vent’anni
fa nel trattato di Maastricht) nel rapporto debito pubblico/PIL
di un ventesimo all’anno.

Dalle parole ai fatti, coloro che non rispetteranno il
patto saranno anche puniti con sanzioni pecuniare che
andranno ad incrementare il fondo "Salva Stati".
Alla Commissione Europea il compito di effettuare costante
monitoraggio del bilancio dello Stato e di stabilire
osservazioni e indicazioni utili al rientro dei paramentri.
In caso di inosservanza una o più "parti contraenti" (cioè
gli altri stati comunitari) possono richiedere il
deferimento del Paese non in regola alla Corte di Giustizia
Europea, che emette verdetto con sanzione. L’accordo è
vincolato alla ratifica degli stati membri "possibilmente"
all’interno della Costituzione e altrimenti con leggi ad
hoc equiparabili.



I debiti si pagano e il senso di un’unione, qualunque essa
sia, impone responsabilità collettive e reciproche.

Tuttavia, visto che la firma del governo Monti su questo
accordo ipoteca il nostro futuro e quello dei nostri figli
per il prossimo ventennio, riteniamo giusto che Wall Street
Italia sottoponga a chi ha il dovere e il potere di
rispondere, una serie di domande:

- com’è possibile che in vent’anni l’Italia e chi l’ha
governata (destra e sinistra) non sia mai riuscita a
rientrare nei parametri richiesti dal trattato di
Maastricht siglato nel 1992? Possiamo chiedere da
cittadini contribuenti che chi ha governato negli
ultimi vent’anni si prenda la responsabilità di
rendicontarci visto che sono anni che paghiamo balzelli
proprio per ristabilire gli equilibri del debito?

E come mai l’Europa ci ha consentito l’ingresso alla
moneta unica anche se i nostri bilanci non rispettavano
i parametri stabiliti?
Quali sono le convenienze europee che in dieci anni sono venute meno?

- La Comunità Europea, alla luce di questo nuovo accordo,
si deve intendere un’unione di stati che va verso
l’integrazione politica e fiscale oppure la dobbiamo
intendere come una sorta di ispettorato di controllo,
che di fatto esautora il diritto di voto del popolo?

Qualunque partito o coalizione governerà in futuro in
Italia è sin d’ora obbligato a rispettare l’accordo
appena siglato; sia chiaro che, quando gli spazi
economici sono così ristretti, qualsiasi divagazione
propagandistica ai fini elettorali è aria fritta.
E’ bene sapere che siamo schiavi del nostro debito.

- Il nostro eccesso di debito equivale al 60% (il
rapporto è circa 120% debito/PIL il valore di equilibrio
è il 60%), per cui il rientro di un ventesimo all’anno
comporta che dal gettito fiscale bisognerà prelevare
il 3% all’anno nei prossimi vent’anni per rientrare del
maggior debito contratto, ovvero circa 60 miliardi di
euro all’anno.

Mediamente una manovra finanziaria ante-disastro
economico si aggirava al massimo attorno ai venti
miliardi. L’attuale pressione fiscale italiana è ai
massimi in Europa. Gli attuali redditi sono fermi,
insufficienti a coprire le spese, i consumi arretrano,
il commercio langue, l’industria è ostaggio del debito
bancario e di un’assenza totale di progetto di crescita,
pare che il problema più grosso per lo sviluppo sia la
rottamazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Il PIL è negativo, quindi genera meno entrate erariali
e quando invece era positivo ci siamo indebitati per
sostenere i costi della spesa pubblica.
Possiamo domandare legittimamente al presidente del
Consiglio Mario Monti o ai suoi ministri tecnici con
che risorse faremo quadrare nei prossimi vent’anni i
conti imposti dal trattato appena firmato?
Dobbiamo ancora fare altri sacrifici?

In proposito bisogna ricordare che:

a) la corruzione in Italia vale 60 miliardi l’anno,
esattamente quello che ci serve per ripagare annualmente
la rata del maggior debito di Stato (l’ha affermato il
Presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino in
audizione alla Camera a dicembre).
Siamo passati dal 63esimo al 69esimo posto in classifica
dell’indice di percezione della corruzione mondiale e
questo ci fa perdere il 16% degli investimenti esteri
per punto.
La legge anti-corruzione emanata dal Governo Berlusconi
è ferma al Senato.

b) Il fatturato delle attività criminali e mafiose vale
150 miliardi l’anno, il 10% del PIL, con utile cash pari
a 70 miliardi all’anno.

c) Gli sprechi:

1 – 630 mila auto blu pari a 21 miliardi di valore.
2 – evasione fiscale: imponibile circa 300 miliardi annui,
che ad aliquota 23% portano ad un mancato gettito di 46
miliardi anno.
3 - Sanità: approvvigionamento medicinali e strumentazione
20 miliardi l’anno: forse si potrebbe razionalizzare le
scorte di sicurezza che poi scadono e si buttano.

4 - La Chiesa, tra ICI non pagata, trasferimenti 8 x mille
e provvidenze varie costa 6 miliardi all’anno.
Pur volendone considerare il valore morale, istituzionale
e culturale, bisogna tagliare.

d) le istituzioni politiche, stato ed enti locali, costano
complessivamente 18 miliardi all’anno e sono troppi, in
tempi di vacche magre i sacrifici sono per tutti e non si
può più garantire privilegi a nessuno.

CONCLUSIONE: agendo opportunamente sui punti precedenti si
ricupera quello che serve a pagare il debito in esubero,
si può pensare di alleggerire il carico fiscale ai cittadini,
dilatando redditi e consumi, si favorisce l’impresa, senza
far nulla di speciale, solo quel necessario che serve a
ristabilire un’equità sociale desueta, che ci ha portati
tutti a credere che il diritto sia diventato un privilegio.

- Il Fiscal Compact impone il recepimento delle norme di
bilancio in seno alla legislazione del Paese, preferendo
"possibilmente" che questo avvenga addirittura all’interno
della Costituzione. Siccome l’accordo siglato entra in
vigore da gennaio 2013, è presumibile che il suo inserimento
nel quadro normativo italiano sia effettuato con Monti
a Palazzo Chigi.
Ci farà sapere questo governo se modificherà la Costituzione
italiana o creerà una legge ad hoc?
E’ legittimo il dubbio che un governo di emergenza non eletto
dai cittadini possa modificare la nostra Costituzione?
Possiamo saperne di più su come intende muoversi il governo
Monti sul Fiscal Compact?

Se il Prof. Monti avesse la compiacenze di rispondere a queste
domande poste in parallelo qui su Wall Street Italia e sul
sito del Partito Indipendente sarebbe cosa buona e giusta.
Purtroppo in Italia le risposte non arrivano se le domande
non le pongono i partiti che siedono gia' in Parlamento.
E i partiti politici esistenti in Italia hanno abdicato
da un pezzo alla loro responsabilità sociale, infatti curano
solo interessi specifici di affari e prebende, tutt'al piu'
quelli del loro presunto serbatoio voti e quasi mai quelli
riferiti al bene comune della nazione.
L’opportunità di colmare il vuoto di oggi è grande, bisogna
saperla sfruttare bene perché può cambiare le nostre sorti
e quelle del nostro amato Paese.

martedì 7 febbraio 2012


Il governo della menzogna "professionale"
di  Francesco Piccioni *
VIl governo della menzogna "professionale"
«Lo facciamo per il vostro bene». La ministra difende sia la riforma delle pensioni che il progetto - fin qui non esplicitato - di modifica «radicale» del mercato del lavoro.




Una delle cose più insopportabili di questo governo è proprio questa disposizione "professorale" a dire una cosa per un'altra, invocando "il concetto" al posto del dato di fatto. Un modo sofisticato di mentire aggravato dalla supina prosternazione della stampa "democratica" e padronale.
Ma sotto la crosta di balle si comincia a intravedere qualche consistente crepa. Del resto, si può dire una stronzata una volta; se diventa sistematico comincia a capirlo anche un bambino.
Certo, non quello che una presunta maestra d'asilo - una delle categorie più colpite dall'offensiva di Berusconi prima, di Monti poi - che ha postato in Facebook un messaggino allucinante: uno dei suoi pargoli di appena due anni e mezzo avrebbe detto di aver visto alla tv "nonno Mario (Monti) che dice le cose giuste per il futuro". E meno male che non ha aggiunto che "sta facendo tutto per noi giovani"...

Parola d'ordine: indorare la pillola ....Francesco Piccioni


Vent'anni di Berlusconi non passano invano. Ma i ministri di questo governo sembrano aver fatto tesoro di tutti quegli insegnamenti. Almeno sul piano mediatico. Qualcuno dirà: però, questi, mica raccontano barzellette... Ammettiamolo: non gli viene bene, ma ci provano. Prendiamo la sortita della ministra Elsa Fornero, ieri, su SkyTg24. «La nostra riforma delle pensioni aiuta i giovani, sottrae loro un onere, quello del debito che era un peso enorme sulle spalle delle nuove generazioni». I «giovani» di oggi, secondo quella riforma, andranno in pensione a 70 anni, con un assegno miserabile. Tra periodi di lavoro precario - per non render loro la vita «monotona», direbbe qualcuno - e altri altamente instabili, avranno infatti un montante contributivo ridicolo.


Ma - dice la ministra - avranno «meno debito pubblico sulle spalle». Questo non lo sa nessuno, in verità. Se lo stato italiano governerà una crescita economica sostanziosa e duratura nel tempo, sarà vero. Se ci saranno lunghi periodi di stagnazione o recessione (è già iniziata, e per quest'anno ci resteremo dentro), anche il debito pubblico aumenterà per effetto degli interessi sul debito (la legge dello spread è ferrea) e della spesa «incomprimibile».
Ma alla ministra non basta raccontarne una. «Nessuno potrà mai licenziare per motivi di discriminazione. È inaccettabile in qualunque paese civile e quindi anche in Italia». Belle parole. Ma la Fiat, che in altra parte della sua intervista benedice, in quel di Pomigliano sta ben attenta a non «riassumere» neppure un solo iscritto a un sindacato storico come la Fiom Cgil. Al di là del codicillo giuridico lì usato, dunque, in Italia i licenziamenti discriminatori sono praticati già oggi, nonostante l'articolo 18. E, a voler esser pignoli, in quel di Melfi - come documentato con tanto di registrazione video vista da tutti in Servizio pubblico - la Fiat paga


come «capi» personaggi che usano con molta disinvoltura linguaggi e minacce di stampo mafioso (a meno di non voler considerare un «ti stacco la testa» come normali relazioni industriali).


La distanza tra paese reale e favole di governo sta diventando solare (neve permettendo). E il dire, senza piangere, «questo governo è tecnico, non ha parti della società italiana che vuole favorire» rivela grandi doti di recitazione, ma ben poca verità. Veniamo infatti da una riforma delle pensioni che lascia 70.000 lavoratori senza più lavoro né copertura Inps; che allunga in alcuni casi di 4 o 5 anni l'età del ritiro; che riduce l'importo dell'assegno per tutti (più grave, in proporzione, per i redditi più bassi). E da un decreto «semplificazioni» improntato a una filosofia elementare: tutto ciò che disturba l'impresa va eliminato. Persino i controlli dello stato.


Sul tema del momento - la riforma del mercato del lavoro - la ministra ha largheggiato in allusioni, senza entrare mai nel merito. Esempio. «Il posto fisso rimane un'importante aspirazione per molti», ma «se non la possiamo realizzare per tutti, l'importante è che chi accetta la flessibilità non ne paghi i costi». Traducendo un po', si capisce che le aziende potranno utilizzare ancora i contratti «atipici», ma dovranno aumentare le relative retribuzioni, in modo da evitare la critica principale: quella di utilizzare i precari per abbattere il costo del lavoro e basta. Ma «si parla troppo di art. 18». Non perché sia falso che il governo vuole abolirlo. «non è giusto legare i lavoratori all'impresa in tutte le circostanze; non è ottimale». Non si dice «ottimale per chi», ma «questa sarebbe la flessibilità buona». Il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero - tra i pochi
 a interloquire con la ministra, ieri - ha facile gioco nello svelare l'artificio retorico: «la flessibilità buona in Italia non esiste».

Se si vuol capire quel che bolle in pentola, dunque, sarà bene uscire dal gioco depistante delle dichiarazioni tv e studiare quel che «consigliano» gli esperti di Confindustria. L'assunto indiscutibile è sempre lo stesso: «in Italia, il mantenimento di salari rigidi ed elevati per una fascia di lavoratori è stato pagato dalla fascia meno protetta», scrive Carlo Basatsin sul Sole. Con i secondi a pagare di più la fase di crisi, com'era previsto. La soluzione, appena accennata, sembra il vero programma di questo governo: abbassare i salari al livello dei« secondi» - più o meno - in modo da far decollare la «competitività». Quella stessa che i tedeschi riescono a mantenere senza problemi pur pagando salari più alti del 30-50%? Non è un calcolo difficile: usiamo la stessa moneta e lassù i prezzi delle merci sono in genere anche più bassi.

venerdì 23 settembre 2011

“Il salvagente padano” (Curzio Maltese)


23/09/2011 di triskel182



“Il comunismo non passerà!”. L´aria giuliva di Fabrizio Cicchitto, in mezzo a un gruppo di parlamentari della maggioranza in festa per il salvataggio di Milanese dall´arresto, del governo e della poltrona, magari non in quest´ordine, è il ritratto di una classe dirigente fuori dal mondo. Brindano alla buvette, s´abbracciano come a una vittoria del mundial. Berlusconi accarezza Bossi e poi Maroni, manco fossero le sue bambine. Lo spread volato a 400 punti? La Borsa che ha bruciato 100 miliardi in tre mesi? Il debito pubblico fuori controllo? Il rischio di un´asta dei Bot deserta? E chi se ne frega. Il declassamento da parte delle agenzie di rating? Domenico Scilipoti, che è il simbolo di questa maggioranza di governo a tempo perso, nemmeno lo sa che cos´è Standard & Poor´s e lo confessa ai microfoni Rai. “Mai sentiti. Me lo spieghi lei” dice al giornalista basito. Forse è un telefilm, come Starsky & Hutch.

Massì, chi se ne frega della crisi. Che non c´era, anche quando c´era, ma qui in ogni caso non è mai arrivata. Vivono tutti felici e contenti, blindati nel privilegio, nella speranza di durare più a lungo possibile, almeno fino al 2013. “Tanto i numeri ci sono”. Trecentoquattordici voti, fatta la tara di qualche collega tradito da un sussulto di dignità, risultano comunque sette più degli altri e tre più del necessario. Sono questi i numeri. Gli altri, i disoccupati in aumento, i risparmi dileguati, le stime di (non) crescita, qui non contano. Non da ieri, certo. Il debito pubblico italiano nel 2001 era 1300 miliardi, oggi ha superato i 1900. Con la parentesi dei venti mesi di Prodi, che aveva posto qualche timido freno, il debito sotto Berlusconi è cresciuto di un terzo, quasi 600 miliardi. Un record da far impallidire il mentore Craxi. E meno male che c´era quasi sempre Tremonti a “tenere in ordine i conti”, come si è detto perfino dall´opposizione. A dar retta ai magistrati, pare invece che non tenesse in ordine nemmeno quelli con il braccio destro Milanese.

Il Quintino Sella de´ noantri, che pensa o s´illude di avere un futuro oltre il berlusconismo, non si è presentato al voto, per salvare la faccia. Ma gli altri, consapevoli di doversi trovare un lavoro vero quando il festino sarà finito, c´erano tutti. A cominciare da Bossi, il più patetico. C´è chi servo nasce e per tutta la vita cerca un padrone. Ma l´Umberto ridotto a giustificare davanti alla base il suo esser diventato il maggiordomo di Arcore, evocando il sol dell´avvenire della Padania libera e della secessione, tutto per assicurare un avvenire al Trota, sinceramente stringe il cuore. Berlusconi lo tratta come se fosse l´altro il vecchio e lui si vanta d´essergli fedele. “Se mancano voti, non sono della Lega” si precipita a commentare Bossi, di fronte alla lieve delusione del Cavaliere. Ed è una delle poche volte in cui dice il vero. I leghisti ci sono tutti, compresi quelli di Maroni, che avevano mandato in galera Papa soltanto per poi sedersi al tavolo delle trattative. Indifferenti all´indignazione che monta fra gli stessi loro elettori.

Ma che importa? Lo show deve andare avanti. Il governo più sputtanato dall´opinione pubblica mondiale tira a campare ancora qualche mese, forse un anno intero. Nel frattempo matura la pensione delle onorevoli anime morte, marciscono i processi nella prescrizione, il Paese perde anche l´ultimo treno, ma senza accorgersene, soprattutto se s´informa dai telegiornali. C´era chi voleva trasformare il Parlamento in un´aula sorda e grigia col manganello e chi l´ha fatto col libretto degli assegni in mano. Speriamo soltanto che anche Standard & Poor´s non sappia chi è Scilipoti.

da La Repubblica del 23/09/2011.

Mariarosa Calderaro:
‎........ Il governo più sputtanato dall´opinione pubblica mondiale tira a campare ancora qualche mese, forse un anno intero. Nel frattempo matura la pensione delle onorevoli anime morte, marciscono i processi nella prescrizione, il Paese perde anche l´ultimo treno, ma senza accorgersene .... C´era chi voleva trasformare il Parlamento in un´aula sorda e grigia col manganello e chi l´ha fatto col libretto degli assegni in mano. Speriamo soltanto che anche Standard & Poor´s non sappia chi è Scilipoti.



sabato 6 agosto 2011

UN UOMO DA INTERDIRE


Giacomo Salerno:
E’ commovente lo sforzo della stampa di regime per sganciare gli ultimi rovesci di Piazza Affari dal discorso portasfiga del Cainano. Ieri il Pompiere della Sera, in un editoriale che peraltro denunciava l’inesistenza del nostro governo, si inerpicava sugli specchi con ardite perifrasi (“Palazzo Chigi”, “il governo e la politica”) pur di non nominare mai Berlusconi come la vera... palla al piede che paralizza l’Italia oltre a tutte le altre. Del resto sono anni che i pompieri fingono di non vedere quel che fa, anzi non fa.


All’inizio per lui la crisi finanziaria mondiale non esisteva proprio. E, se gl’italiani se ne preoccupavano, era colpa di Annozero che ne parlava. Autosuggestione collettiva. Ottobre 2008, mentre tutto il mondo vara misure straordinarie, lui sorride: “Tranquilli, abbiamo l’83% di case di proprietà, più auto e più telefonini di ogni altro paese europeo”. 21 dicembre 2008: “Occorre intervenire sulla Rai, basta con questi programmi che diffondono pessimismo”. Febbraio 2009, cita fugacemente la crisi, ma solo per annunciare che è passata: “Usciremo dalla crisi prima del resto d’Europa, perché siamo i migliori”. 2010: la crisi è sempre lì. Lui incolpa alle “organizzazioni internazionali, che un giorno sì e uno no dicono: deficit +5%, consumi -5%, crisi di qui crisi di là, crisi fino al 2011… un disastro! Chiudiamogli la bocca”. E pure i giornali, “essi stessi fattori di crisi”. Poi riunisce gl’imprenditori, anch’essi molto suggestionati: “Chiedete un incontro ai vertici Rai: come fate ad accettare che la Rai inserisca i vostri spot in programmi che diffondono panico e sfiducia? ”. È la celebre crisi percepita: la gente crede di esser senza soldi e senza lavoro perché glielo dice Santoro, ma se mette le mani in tasca si scopre ricca sfondata. 2011: Draghi, altra vittima dell’incantesimo, annuncia che si son persi 650 mila posti di lavoro, ma B. lo zittisce: “I suoi dati non ci risultano, la ripresa è partita”. L’autorevole Brunetta conferma: “Siamo in piena ripresa”. È quel che dice anche il Tg1 di Minzolingua: secondo una ricerca di Ilvo Diamanti, la crisi è la prima preoccupazione del 60% degli italiani, che se ne infischiano della criminalità (12%) e dell’immigrazione (3,6), ma Rai e Mediaset parlano di criminalità e immigrazione 20 volte più che di crisi.

Maria Luisa Busi ritira la sua faccia dal Tg1 e accusa Minzolingua di aver “schiacciato l’Italia reale tra informazione di parte e infotainment: quante volte lavarsi le mani, caccia al coccodrillo nel lago, mutande antiscippo”. Il Direttorissimo replica: “È lei che accompagnava le notizie con la mimica facciale”. Gufava, ecco. Doveva fare come Feltri, che ancora l’anno scorso scriveva sul Giornale: “Io vedo in giro solo gente paffuta, sorridente, in forma. Il ritratto dell’opulenza. Disoccupati non ne conosco uno, semmai conosco cassintegrati integrati e felici”. Gennaio 2011, riecco la supercazzola del “taglio delle tasse”, come se avessimo 10 o 20 miliardi da scialare. E Tremonti che ripete “non c’è una lira” è un altro gufo, traditore, criptocomunista da affidare alle cure del Giornale e di Libero. Due mesi fa si scopre all’improvviso che mancano all’appello 60, forse 80 miliardi e Tremonti evoca il Titanic. Salvo poi apparecchiare una manovra postdatata, a babbo morto, che avvierà i tagli nel 2013, quando l’Italia non ci sarà più. Manovra già divorata dai mercati dans l’espace d’un matin. E dunque riecco il Cavalier Bunga rassicurare che “il Paese è solido” e la crisi è colpa dei “mercati ” che – diceva quel gran genio di suo padre (banca Rasini) – “sono orologi rotti ”. Ma anche della magistratura, noto “fattore di crisi”.

A proposito: “Investite nelle mie aziende che vanno forte”. Tra qualche mese, quando saremo un cumulo di macerie, lo troveranno nel bunker con una dozzina di Evebraun minorenni che grida “Salvate Mediaset! Bombardate i giudici! Ho l’arma se greta ! ”. Sempreché chi può non l’abbia fatto interdire per tempo.

(Marco Travaglio)

lunedì 1 agosto 2011

lunedì 18 luglio 2011

MI ARRIVA DIRETTAMENTE DA BANDIERA ROSSA

Scandalosa povertà - di Marco Revelli
La nota Istat su «La povertà in Italia», relativa al 2010, ci restituisce l'immagine di un'Italia povera.
Di un paese socialmente fragile, con un esercito di 8.272.000 individui (462.000 in più rispetto al 2009) in condizione di povertà relativa (costr...etti cioè a una spesa mensile inferiore a una soglia che per una famiglia di due membri è pari a 992 euro).
E con 1.156.000 famiglie in condizione di povertà assoluta, per le quali cioè risulta impossibile procurarsi un pacchetto di beni e servizi considerati il minimo indispensabile per condurre una vita decente. Era così prima della crisi. Continua ad esserlo durante la tempesta. Soprattutto però i dati Istat confermano la persistenza, anzi l'aggravamento, di tutte le caratteristiche che sono state indicate come tipiche del "modello di povertà" italiano.
Un modello patologico, senza confronti in Europa. Esse sono tre. In primo luogo lo squilibrio nord-sud, con un differenziale territoriale che per la povertà relativa raggiunge le 5 volte: il 67% della povertà italiana continua a concentrarsi nel Mezzogiorno, nonostante vi risieda appena il 31% della popolazione.
In secondo luogo l'altissima incidenza della povertà tra le famiglie numerose, in particolare quelle con figli minori a carico, che fa dell'Italia la maglia nera in Europa per quanto riguarda la più scandalosa delle povertà, quella dei minori, che qui raggiunge la percentuale record del 25% (secondo l'agenzia statistica europea Eurostat). Infine l'alto livello di povertà, sia relativa che assoluta, tra i lavoratori. La presenza, imbarazzante, dei working poor, dei "poveri al lavoro". O, se si preferisce, di coloro che sono poveri sebbene lavorino (più del 6% sono in condizione di povertà assoluta!).
Ebbene, tutti e tre questi aspetti risultano - in alcuni casi drammaticamente - peggiorati nell'ultimo anno. È sconvolgente che la povertà relativa sia aumentata, in un solo anno, tra le famiglie numerose, di ben 5 punti percentuali (dal 24,9% al 29,9%). E che nel Meridione, tra le famiglie con tre e più figli minori, il balzo sia stato addirittura di 11 punti (dal 36,7% al 47,3%). Significa che lì, un minore su due vive in una famiglia povera.
E che una famiglia numerosa su tre è povera. Nel Meridione, d'altra parte, è peggiorata verticalmente anche la posizione dei lavoratori autonomi (dal 14% al 19,2%) e quella delle persone con titolo di studio medio alto (dal 10,7% al 13,9%), a dimostrazione di quanto la crisi sia arrivata a mordere nel vivo anche tra le classi medie (è un segnale nefasto che «tra le famiglie con persona di riferimento diplomata o laureata aumenti anche la povertà assoluta, (dall'1,7% al 2,1%)». Possiamo immaginare quale possa essere l'effetto degli interventi lineari della manovra or ora approvata a tempo di record, su questa ampia parte dolente del Paese.
Che cosa comporti il taglio delle detrazioni fiscali per figli minori e asili nido o per cure pediatriche; la soppressione di servizi essenziali in campo educativo e sanitario; la reintroduzione dei ticket, accompagnati agli effetti sperequativi del cosiddetto "federalismo fiscale".
Sale sulle ferite.
Come di chi preme sulla nuca di un uomo che affoga.
Di: Bandiera Rossa